“Tenetevi stretti i sogni perché sono quelli che vi daranno un futuro migliore. La vita è fatta per essere vissuta fino in fondo: si può sbagliare e cadere ma senza vergogna. Anche se oggi hai subito una sconfitta, devi rialzarti e combattere per quello in cui credi e così facendo realizzare i tuoi sogni”. Leiji Matsumoto, alias Akira Matsumoto, accenna uno dei rari sorrisi mentre pronuncia queste parole nella sala stampa del Press Caffè di Lucca Comics 2018.
Il papà di Capitan Harlock, della Regina Esmeralda e della Yamato è seduto davanti ad una sala gremita di giornalisti e fotografi: giacca scura, immancabile cappellino nero calato sulla testa con al centro il teschio rosso, a ricordare quel “pirata tutto nero” che in Italia, e non solo, lo ha fatto conoscere al grande pubblico, Leiji Matsumoto fissa la platea con i suoi occhi piccoli e attenti, dietro le lenti degli occhiali. Nonostante la piccola statura, questo uomo di 86 anni ha la capacità di emanare una grande aura, mentre risponde in tono pacato, alle domande che gli vengono fatte.
Un excursus di oltre un’ora sulla vita, sulle opere realizzate, su quello che lo ha ispirato: un racconto che mette a nudo molto di un artista, che a ragione, viene chiamato Sensei, ovvero Maestro.
“Fin da ragazzo ho sempre disegnato quello che vedevo nella vita reale, film, libri, racconti o persone care, che poi sognavo di notte – ha spiegato Leiji Matsumoto, al quale è tributata anche una mostra a Palazzo Ducale fino al 4 novembre, con disegni inediti – Tutte le mie storie sono parti di un lungo viaggio di cui non ho alcuna intenzione di scrivere la fine perché vorrei che continuasse per sempre”.
Disegnatore di manga dall’età di 15 anni, quando vinse il concorso che gli aprì le porte del mondo dei fumetti giapponesi, Leiji Matsumoto racconta dei suoi esordi, a cominciare da quel treno modello C-62 che a 18 anni lo portò da Kurume, sua città natale nell’isola di Kyushu, a Tokyo, impiegando ben 24 ore: un viaggio della speranza che sarebbe poi diventato modello proprio per Galaxy Express 999, uno dei suoi più grandi successi. “Ci tengo a spiegare che ho scelto il numero 999 e non 1000 perchè volevo trasmettere un senso di non finito, di speranza e giovinezza”.
Come altri grandi disegnatori giapponesi, a cominciare da Hayao Miyazaki, uno dei fattori che ha influito di più nell’opera di Matsumoto è il ricordo dell’esperienza della II Guerra Mondiale. “La mia città Kurume avrebbe dovuto essere il primo obiettivo della bomba del 9 agosto ma poi per problemi di meteo venne deciso di colpire Nagasaki – spiega il Maestro – Ho conosciuto però molte persone che hanno perso i propri cari in seguito a quella tragedia e che hanno sofferto: quella sofferenza è entrata poi nei miei disegni”.
Fondamentale il rapporto con il padre, pilota di aerei, dalla cui figura Matsumoto ha tratto ispirazione per il personaggio di Juko Okita, il primo capitano della Yamato: “Mio padre mi raccontava tante storie dei paesi visitati per il suo lavoro, poi è partito per la guerra e quando è tornato non è stato più lo stesso – ha raccontato Matsumoto – E’ stato lui ad insegnarmi che la vita è fatta per essere vissuta, che non bisogna arrendersi mai e che la guerra non deve ripetersi. Oggi il mondo non deve dividersi per religioni o razze ma unirsi: dobbiamo imparare dalla nostra storia e adoperarci per diventare un popolo solo e lavorare insieme per proteggere il nostro pianeta. E questo è il messaggio che cerco di trasmettere nelle mie storie”.
Un messaggio che emerge infatti in gran parte delle sue opere a cominciare proprio da Capitan Harlock e da La Corrazata Yamato: “Ho cominciato a disegnare a 15 anni ma sono entrato nel mondo degli anime molto più tardi, quando ne avevo oltre trenta. Avevo già avuto modo di vivere esperienze anche traumatiche nella mia vita e ho cercato di riportarle – ha spiegato Leiji Matsumoto – Quando mi chiesero di realizzare la serie sulla Yamato ero preoccupato perché non sapevo come sviluppare la storia. Ho quindi preso a modello la corazzata Yamato e l’ho ambientata in un contesto spaziale mentre per i personaggi mi sono ispirato a persone che conoscevo, come mio padre, per il capitano, e mio fratello per Susumu Kodai”.
Immancabile la domanda suoi suoi personaggi femminili, donne bellissime ed eteree ma anche forti e determinate. “Per i miei personaggi femminili mi sono ispirato ad alcune donne di origine europea che avevo incontrato. Inoltre ho preso a modello un film francese del 1955 “Marianne de ma jeunesse” (marianna della mia giovinezza) di Julianne Devivié e in particolare la protagonista, Marianne Hold”.
Ci sarebbe ancora molto da chiedere ma il tempo stringe: il protocollo è rigido e il Sensei deve presiedere alla cerimonia nella quale gli verrà consegnata la Medaglia della città di Lucca.
Non rimane quindi che in lungo applauso per suggellare l’incontro, un applauso prolungato che non vuole finire più: lo stesso Sensei appare stupito stupirsene e ci tiene ad aggiungere ancora qualcosa: “Vedendo questa bellissima città con le sue architetture, ho provato una strana sensazione di deja-vu: ne avevo sentito parlare da mio padre, che era venuto in Europa prima della guerra ma solo adesso vedendole dal vivo mi sono reso conto di quanto mi fossero entrate nel dna. E’ una sensazione bellissima”.E mentre Capitan Harlock esce dalla sala, accompagnato da un ennesimo applauso, chi rimane non può che fermarsi a riflettere su quanto questa figura abbia influenzato la sua vita e probabilmente quella di un’intera generazione. Grazie Sensei!
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