(Articolo di Gabriele D’Angelo) – Il centauro Nesso viveva sulle rive del fiume Eveno e usava traghettare i viaggiatori sull’altra sponda. Un giorno Ercole si trovò a dover passare proprio quel fiume, assieme alla moglie Deianira.
Nesso si rifiutò di traghettare i due nello stesso momento, cosicché Ercole dovette guadare l’Eveno da solo. Quando Nesso si trovò ad avere in groppa la sola Deianira, tentò di rapirla dandosi alla fuga, ma fu ucciso da una freccia di Ercole.
E’ questa la storia racchiusa nel gruppo marmoreo di Ercole e Nesso, che da quasi 5 secoli “accoglie” i visitatori della Galleria degli Uffizi e che è appena stato riportato al suo antico splendore da un restauro interamente finanziato dal mecenatismo collettivo dell’associazione Friends of Uffizi Gallery.
Un “restauro del restauro”, verrebbe da dire, visto che il gruppo aveva già subito in precedenza due interventi di integrazione, ad opera prima di uno scultore romano di nome Mastro Silla, e poi del genio cinquecentesco di Giovanni Caccini. Il tutto partendo semplicemente dai piedi, l’unica parte ancora conservata della superficie antica.
Un’occasione unica quella offerta da questo cantiere, che ha inoltre consentito di risalire all’originaria postura del centauro (che, nell’adattamento cacciniano, risulta essere più schiacciata e compressa rispetto alla situazione originaria) e di appurare la provenienza dei diversi marmi che compongono il gruppo.
“Questo restauro – ha dichiarato il direttore del dipartimento antichità classiche degli Uffizi, Fabrizio Paolucci – ha consentito di riscrivere la storia dell’opera, e soprattutto di aiutarci ad intuire quello che non si vede più, ovvero l’aspetto della scultura antica.”
Questo anche grazie alla ricostruzione 3 D realizzata dalla ditta Digitarca, che ha permesso di comprendere al meglio la complessa mappatura del mosaico di frammenti che compongono il gruppo, offrendo materiale prezioso per una sua futura riconsiderazione.
Perché il complesso di Ercole e Nesso non è una scultura come tante altre: da sempre si erge trionfante sulla testata del primo corridoio di uno dei musei più importanti al mondo. Da sempre ricorda l’insolito uso dell’arco da parte del celebre eroe classico, solitamente non avvezzo a quello che i latini consideravano “un’arma vigliacca”.
Da sempre, si propone come manifesto ideologico degli intenti di Francesco I Dé Medici: “L’idea di Francesco I – ha infatti spiegato il direttore della Galleria degli Uffizi Antonio Natali – era di fare un museo nel quale la sua epoca (il 500) gareggiava con l’antico. Questa scultura, per metà classica e per metà cinquecentesca, è l’emblema di questa idea”.
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