Firenze – Viene definita “epidemia silente” e d è favorita dal progressivo allungamento della vita e dall’invecchiamento della popolazione: è l’Alzheimer, malattia neurodegenerativa che colpisce solo in Italia 600.000 persone, il 5% delle persone oltre i 60 anni.
La malattia provoca un declino globale delle funzioni della memoria e di quelle intellettive, che comportano un deterioramento della personalità e della propria vita sociale.
A causarla, secondo gli studiosi, ci sarebbero fattori genetici e ambientali, che favoriscono la progressiva deposizione all’interno del cervello di una particolare proteina, denominata beta-amiloide, che ha conseguenze tossiche sui neuroni.
Molto ancora però resta da chiarire sulle cause di questa malattia e soprattutto sulle eventuali terapie per contrastarla: per questo assume rilevanza la notizia di una nuova ricerca che avrebbe individuato undici nuovi geni associati alla malattia di Alzheimer, geni cioè che possono contribuire a determinare lo sviluppo della patologia.
Lo studio denominato IGAP, progetto internazionale di Genomica dell’Alzheimer, coinvolge tutti i principali consorzi europei e americani che si occupano di questa malattia, compresa l’Università di Firenze.
I primi risultati erano stati annunciati già in un articolo del 2011; oggi una nuova pubblicazione sull’ultimo numero della rivista Nature Genetics annuncia la nuova scoperta: grazie ad una metanalisi di 74.046 soggetti (provenienti da Stati Uniti ed Europa), sono stati identificati 11 nuovi geni associati alla malattia di Alzheimer.
La strategia dello studio che ha coinvolto i soggetti in più repliche, ha portato a evidenziare risultati definiti significativi a livello di geni, alcuni dei quali consentirebbero di approfondire l’importanza di meccanismi della malattia già noti (come l’associazione alle proteine amiloide e tau), mentre altri sottolineerebbero la rilevanza di nuove aree del cervello di potenziale interesse per la comprensione delle cause della malattia.
Alcuni di questi nuovi geni sarebbero infatti coinvolti nel funzionamento dell’ippocampo, prima area cerebrale che si altera a causa dell’Alzheimer, e nelle attività di comunicazione tra i neuroni.
“Si tratta, in tutti i casi, di meccanismi che hanno un ruolo importante nei processi che possono portare a neurodegenerazione- ha spiegato Benedetta Nacmias, ricercatreice in Neurologia dell’Università di Firenze, che partecipa allo studio dal 2011 – Ulteriori studi sono necessari per caratterizzare queste varianti dal punto di vista funzionale, per chiarire la loro associazione con il rischio di malattia e per definire meglio il loro ruolo nella fisiopatologia dell’Alzheimer”.
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